Arriviamo a Capodistria da Isola (Izola), seguendo la strada costiera, lungo la quale è stata costruita una pista ciclabile. Al largo sostano delle grosse navi cargo. A ridosso della costa ci sono alcune piccole barchette. Si vede Grado, dall’altra parte del mare. Non Trieste, invece. Tra le due città cade un promontorio, diviso dal confine tra Italia e Slovenia.
Veniamo a sapere di Lubenizze (Lubenice), un antico borgo di pietra in cima a un colle dell’isola di Cherso (Cres), con vista memorabile sul mare, dal libro Il leone di Lissa. L’autore, Alessandro Marzo Magno, ripercorre i viaggi in Dalmazia di Alberto Fortis. Abate, padovano, nel ‘700 ebbe il merito di raccontare queste terre all’intellighenzia europea.
Fino al 1889 Teodo (Tivat), affacciato sulle Bocche di Cattaro, sacca d’acqua che nel corso dei millenni ha spinto indietro la linea delle montagne montenegrine, era un villaggio come tanti altri dell’Adriatico orientale. Si viveva di pesca e agricoltura. Le varie epoche, con i loro dominatori, romani, goti, bizantini, slavi, turchi e veneziani, erano trascorse senza stravolgere troppo ritmi e abitudini del posto e della sua gente.
L’Adriatico, per come è fatto, dovrebbe creare grandi interscambi e vincoli strettissimi tra le popolazioni insediate sulle sue sponde. Non è ancora così.
Valona, terza città e secondo porto dell'Albania. Ma anche crinale tra l’Adriatico e lo Ionio. Sulla sponda italiana è invece Punta Palascìa, appena a sud di Otranto, a fissare il limite delle acque adriatiche.
I russi che frequentano la costa montenegrina non sono per forza ricchi. Non necessariamente pernottano in alberghi di gran lusso o hanno investito nel mattone. Sono anche russi della classe media.